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356 le confessioni d’un ottuagenario.

ripete e si ricopia sempre. Il sonno d’una notte è la quiete e il ristoro d’un uomo; la morte di un uomo è un istante di sonno nell’umanità.

M’avvicinava passo passo alla morte coi mesti conforti dell’Aglaura da un lato, col tardo ravvedimento di Spiro dall’altro, che non potea serbare la sua ostile diffidenza dinanzi all’imperturbabile serenità d’un moribondo. Dinanzi alle grandi ombre del sepolcro non vi sono nè illusi nè imbecilli; ognuno racquista tanta lucidità che basti a riverberargli in un terribile baleno le colpe e le virtù di tutta la vita. Chi posa gli occhi calmi e sicuri in quella notte senza fondo, sente e vede in se stesso la immagine purificata di Dio; egli non teme nè le ricompense nè le pene eterne, non paventa nè i fluttuanti vortici del caos, nè gli abissi ineffabili del nulla. Convien dire che avessi scritta sulla mia fronte un’assai eloquente difesa, perchè Spiro al solo guardarmi si commoveva fino alle lagrime; pure non aveva i nervi rammolliti dal piagnucolare, e le greche fattezze del suo volto si componevano meglio alla rigidezza del giudice, che alla vergogna e al pentimento del colpevole. Fu quello il primo premio che m’ebbi della mia costanza. Veder vinta dalla sola calma del mio aspetto, dalla tranquillità della voce, dalla limpidezza dello sguardo quell’anima di fuoco e d’acciaio, fu un vero trionfo. Egli nè mi chiese perdono, nè io glielo diedi, ma ci intendemmo senza parola; le nostre mani si strinsero; e tornammo amici per malleveria della morte.

I medici non parlavano dinanzi a me, ma io m’accorgeva appunto dal silenzio e dalla confusione dei pareri, che disperavano del mio male. Io m’ingegnava di usare alla meglio questi ultimi giorni col versare nell’anima di Spiro e di mia sorella l’esperienza della mia vita, col mostrar loro in qual modo s’eran venuti formando i miei sentimenti, e come l’amore, l’amicizia, l’amore della virtù