Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/365

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capitolo decimonono. 357

e della patria erano venuti irrompendo confusamente, indi purificandosi a poco a poco, e sollevando l’anima mia. Vedeva allora le cose tanto chiare, che precedetti, si può dire, una generazione; e lo dico senza superbia, le idee di Azeglio e di Balbo covavano in germe ne’ miei discorsi d’allora. L’Aglaura piangeva, Spiro crollava il capo, i bambini mi guardavano sgomentati, domandavano alla mamma perchè lo zio aveva la voce così bassa, e voleva sempre dormire, e non usciva mai dal letto.

— Vegliare toccherà a voi, bambini! — io rispondeva sorridendo. Indi volgendomi a Spiro — non temere, no, — continuava, — quello che ora veggo io, molti lo vedranno in appresso, e tutti da ultimo. La concordia dei pensieri mena alla concordia delle opere; e la verità non tramonta mai, ma sale sempre verso il meriggio eterno. Ogni spirito veggente che sale lassù risplende a cento altri spiriti colla sua luce profetica! —

Spiro non si acquetava di cotali conforti; egli mi tastava il polso, mi osservava ansiosamente negli occhi, come vi cercasse quell’intima cagione del mio male che ai medici era sfuggita. Finalmente un giorno che eravamo soli si diede animo e mi disse:

— Carlo, in coscienza, confessati a me! Non puoi o non vuoi guarire?

— Non posso, no, non posso! — io sclamai.

In quel momento l’Aglaura entrò precipitosa nella stanza, dicendomi che una persona, a me molto cara altre volte, voleva vedermi ad ogni costo.

— Ch’ella entri, ch’ella entri! — io mormorai sbigottito dalla consolazione che mi veniva tanto improvvisa. Io vedeva attraverso le pareti, io leggeva nell’anima di colei che veniva a trovarmi; credo che ebbi paura di quel lampo quasi sovrumano di chiaroveggenza, e che temetti di mancare al rifluir repentino di tanto impeto di vita.