Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/377

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capitolo decimonono. 369

ciataggine me la cavai con discreto onore. Allora la mia fama spiccò un volo per tutto il distretto; e non vi fu più organo, nè cembalo, nè chitarra che non dovesse esser tormentata dalle mie mani per sonar a dovere. Il mio ministero di cancelliere m’avea reso popolare un tempo, e il mio nome non era affatto dimenticato. In campagna chi è buon cancelliere non ha difetto a farsi anche credere buon accordatore, e in fin dei conti a forza di rompere, stirare e torturar corde, credo che riuscii a qualche cosa.

Finalmente diedi il colmo alla mia gloria esponendomi come suonator d’organo in qualche sagra, in qualche funzione. Sul principio m’azzuffava sovente cogli inesorabili cantori del Kyrie o del Gloria; ma imparai in seguito la manovra, ed ebbi il contento di vederli cantare a piena gola, senza volgersi ogni tanto pietosamente a interrogare e a rimproverare cogli occhi il capriccioso organista. Anche questa ve l’ho detta. Di maggiordomo mi feci organista; e tenetevelo bene a mente, chè la genealogia de’ miei mestieri non è delle più comuni. Bensì vi posso assicurare che m’ingegnava a guadagnarmi il pane, e tra Bruto maestro di calligrafia, la Pisana sarta e cucitrice, l’Aquilina cuoca, e il vostro Carlino organista, vi giuro che alla sera si rappresentavano delle brillanti commediole tutte da ridere. Ci mettevamo in canzone a vicenda: eravamo intanto felici, e la felicità e la pace mi resero a tre tanti la salute che aveva prima.

Alle volte andavo a Fratta, e conducevo fuori a caccia il signor capitano e il suo cane. Il capitano non voleva uscire da quattro pertiche di palude, che sembravano da lui prese in affitto, e nelle quali le anitre e le gallinelle si guardavano bene di porre il piede. Il suo cane poi aveva il vizio di fiutar troppo in aria e di guardar le piante; pareva andasse a caccia piuttosto di persici che di selvaggina; ma a furia di gridare io gli insegnai a guardar per