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382 le confessioni d’un ottuagenario.

a poco m’abituai a volerle bene in quel nuovo modo che doveva; non durai più tanti sforzi; e se sospirava ripensando al passato, trovava che anche senza molta filosofia si poteva accontentarsi del presente. Le opere buone sono una gran distrazione. Quella di far felice mia moglie mi occupò tutto; e mi vidi dopo un solo mese più buon marito di quanto non avrei mai osato sperare.

La Pisana fu testimone di questo mio interno mutamento. Persuaso che quel suo grande, ma troppo facile sacrifizio a favore della Aquilina, non potesse spiegarsi che con un sensibile raffreddamento del suo amore per me, non mi diedi briga per nasconderle l’agevolezza ch’io trovava, maggiore d’ogni speranza, nel rassegnarmi a portare la mia parte di sacrifizio. Speravo che, vedendomi meno malcontento, avrebbe avuto minor rimorso della tirannia con cui aveva fatto violenza alla mia volontà. Sulle prime ella la capì per questo verso; ma i giorni passavano e nelle frequenti visite che ne faceva andava sempre più oscurandosi in viso; e quelle congratulazioni che recava negli occhi della mia bravura, si cambiarono a poco a poco in sospetti ed in stizza. Io credeva non mi trovasse abbastanza premuroso presso l’Aquilina e raddoppiava di zelo e di buona volontà; ella invece s’ostinava nel suo broncio, ed anche con mia moglie non si mostrava più tanto affettuosa come da principio. Un mattino capitò a casa nostra tutta scalmanata, che Bruto e l’Aquilina erano fuori per non so qual motivo. Senza aspettare neppure ch’io la salutassi mi chiuse la bocca con un gesto.

— Tacete — mi disse — ho fretta di sbrigarmi. Voi adesso vi amate: non avete più bisogno di me. Torno a Venezia! —

Io voleva rispondere, ma ella non me ne lasciò il tempo. Mi gridò nell’uscire che salutassi mia moglie e il cognato: indi rimontò nel calessino col quale era venuta