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Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/389

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capitolo decimonono. 381

a suo modo; ma ad ogni anno passava qualche mesetto in prigione e allora s’era fatto vecchio e ubriacone. Le sue prodezze erano omai più di parole che di opere; e i monelli si trastullavano di stuzzicarlo, e di fargli dire sui mercati le più strambe corbellerie. Egli viveva si può dire di elemosina, e per quanto Bruto lo invitasse a sedere alla mensa comune, non ci fu verso di poterlo stanare dalla cucina, ove godette delle nozze coi gatti coi cani e colle guattere. La sera gran festa da ballo; allora si pensò più che agli sposi a darsi bel tempo, e la giocondità fu piena e spontanea. Marchetto sagrestano, che pareva il diavolo vestito da prete, grattava il contrabbasso, e in onta all’età, con una tal furia da cavallante, che le gambe duravano fatica a tenergli dietro. La Pisana cercò di scomparir quella sera alla muta; ma io m’accorsi del momento di sua partenza: i nostri occhi s’incontrarono, e si scambiarono, credo, un ultimo bacio. L’Aquilina parlava allora colla Bradamante; ma rimase un momento svagata.

— Cos’hai? — le chiese la sorella.

— Nulla, nulla — rispose tramortita la novella sposa. — Non ti pare che qua dentro si affoghi dal caldo?... —

Io udii quelle parole benchè pronunciate a bassissima voce; e non pensai più che a compiere i nuovi doveri che mi era imposto. Fui gentile, amoroso coll’Aquilina fino al finir della festa. E poi?... E poi m’accorsi che in certi sacrifizi la Provvidenza, forse per retribuirne il merito, fa mettere qualche discreta dose di piacere. L’innocenza, la leggiadria di mia moglie vinsero affatto la causa; e feci assoluto proponimento di mostrarmele sempre buon marito. — Quello che è fatto è fatto, — pensai; — il da farsi facciamolo bene. —

Non credo che l’Aquilina s’accorgesse, nemmeno durante i primi giorni, dello sforzo durato per dimostrarle quell’ardenza d’amore che infatti io non sentiva. Ma a poco