Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/407

Da Wikisource.

399

CAPITOLO VENTESIMO.


I Siciliani al campo di Pepe negli Abruzzi. — Io faccio conoscenza colla prigione e quasi col patibolo; ma in grazia della Pisana ci perdo solamente gli occhi. — Miracoli d’amore d’una infermiera. — I profughi di Londra e i soldati della Grecia. — Riacquisto la vista per opera di Lucilio, ma poco stante perdo la Pisana, e torno in patria vivo non d’altro che di memorie.


Povero Adriatico! Quando rivedrai le glorie delle flotte romane di Brindisi, delle navi liburniche, e delle galee veneziane? Ora il tuo flutto travolto e tumultuoso sbatte due sponde quasi deserte, e alle fratte paludose della Puglia corrispondono le spopolate montagne dell’Albania. Venezia, una locanda, Trieste, una bottega, non bastano a consolare le tue rive del loro abbandono; e l’alba, che ti liscia ogni giorno le chiome ondeggianti, cerca indarno per le tue prode altro che rovine e memorie.

Quando salpammo da Malamocco il tempo era quieto e sereno. L’inverno non ci pareva quasi nulla, e meno poi nell’alto mare dove la nudità degli alberi e il biancheggiar delle nevi non attestano la vecchiaia dell’anno. Il tepido favonio fiato scherzava a sommo dell’onde, e conduceva all’arida Dalmazia i memori sospiri dell’Africa sorella. Dove sono ora Salona, il rifugio di Diocleziano, ed Ippona, la sede vescovile di Agostino?... Memorie, memorie, sempre memorie traverso queste onde non mai quiete nè mutate da secoli, per queste aure sempre dolci e profumate, sopra questa terra eternamente divoratrice e feconda. L’Oriente produsse a rilento una civiltà che stultizza ancora decrepita; il Settentrione bamboleggia da trecento anni nella puerile superbia di chi si crede adulto, e non è forse ben nato ancora. L’Italia per due volte sor-