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400 le confessioni d’un ottuagenario.

passò l’Oriente e prevenne il Settentrione; per due volte fu maestra e regina al mondo; miracolo di fecondità, di potenza e di sventura. Ella rimugge ancora nelle viscere profonde; senza rispetto agli epicedii di Lamartine, e alla sfiducia dei pessimisti, ella può un giorno raggiungere chi sta dinanzi d’un passo, e si crede innanzi le mille miglia. Un passo, un passo e null’altro, ve lo dico io; ma è assai lungo a fare.

Nei paraggi d’Ancona cominciò lo scirocco a darci noia ed attraversarci il cammino. Il trabaccolo chiozziotto resisteva bene; ma il vento opponeva migliori ragioni delle sue vele, e ci convenne calarle. Ormeggia di qua, ormeggia di là, ci mettemmo quattro settimane a toccar Manfredonia ov’io doveva sbarcare. Giunsi di là a Molfetta ch’eravamo ai primi di febbraio, e le cerne provinciali concorrevano sul confine dell’Abruzzo per opporsi col general Guglielmo Pepe all’invasione straniera da quella banda. Peraltro il grosso dei nemici si aspettava dalla strada romana, e l’esercito regolare gli si opponeva sotto il comando di Cavascosa campeggiando sulla costiera occidentale fra Gaeta e gli Appennini. Io sbrigai le mie faccende in pochi giorni. Il vecchio curato era morto, ma aveva scritto il nome di mio padre fra i decessi nell’anno millesettecento novantanove; rilevai regolarmente l’atto di morte, e mi affrettai al campo del general Pepe come erano le mie istruzioni.

Fui ricevuto assai cortesemente dal giovane generale, che aveva grandissima confidenza nelle sue torme di volontari e si proponeva con esse di combattere validamente la diversione che i nemici avrebbero tentato da quella banda. Non si immaginava mai più, che Nugent gli sarebbe piombato addosso con tutto l’esercito; perciò, fidandosi molto ancora dei Papalini, divisava afforzarsi meglio facendo una punta a Rieti nello Stato romano. Si occupava appunto del-