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408 le confessioni d’un ottuagenario.

Ponza ingrassa, io trovai che i fagiuoli mi smagrivano, e guai se fossi stato colà più di un mese. Non so come abbia fatto la figlia o la nipote d’Augusto a durarci dieci anni; probabilmente si cibava di qualche cosa di più succolento oltre la fagiuolata. Fortuna, come dissi, che ci rimasi non più di un mese; ma mi mandarono a Gaeta, ove se ebbi miglior compagnia e se fui meglio pasciuto, cominciai invece a patire nella vista.

Aveva per me solo un gabbiotto tutto bianco di calcina che guardava il mare; e di là il sole splendente in cielo e riflesso dalle acque mandava entro un cotal riverbero che si perdevano gli occhi. Feci istanze sopra istanze: tutto inutile. Forse che ritenevano lecito di privar degli occhi un uomo cui si avea regalato la vita: ma non capisco allora perchè non si fossero riserbati un cotal privilegio nell’atto di grazia. In tre mesi diventai quasi cieco: vedeva le cose azzurre, verdi, rosse, non mai del color naturale; perdeva ogni giorno più il criterio delle proporzioni; alle volte il mio camerotto mi sembrava una sala sconfinata, e la mia mano la zampa d’un elefante. I carcerieri poi mi sembravano addirittura rinoceronti.

Il quarto mese cominciai a vedere quel mio pezzetto di mondo traverso una nebbia; al quinto principiò a calare un gran buio, e dei colori che vedeva prima non era rimasto che un rosso cupo, una tintura mista di polvere e di sangue. Allora capitò un ordine di trasferirmi a Napoli nel Castel Sant’Elmo, e mi tornarono innanzi i due soliti cancellieri a leggere la solita tiritera. Era graziato del resto della pena! Pazienza! Se non avrei più veduto il mondo del colore che veramente era, lo avrei almeno passeggiato e fiutato a mio grado!... Avrei riveduto il mio paese, i miei figliuoli, la moglie.... Adagio con queste grandiosità!... Mi si graziava sì, ma relegandomi fuori d’Italia; e potete credere che cacciato di lì, nè Francia nè Spagna