Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/429

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capitolo ventesimo. 421

perdono della lunga ingiustizia; nè di più io poteva pretendere dall’indole orgogliosa di Lucilio. Bensì mi riconfortai assaissimo di quell’incontro, e lo presi per una promessa della Provvidenza, che le sorti nostre avessero a cambiare in meglio. Non ebbi che a convincermi sempre di più di questa felice persuasione, per la bella piega che parvero prendere allora tutto d’un tratto le cose nostre.

Prima di tutto, Lucilio esaminò attentamente i miei occhi, e dettomi che erano coperti da caterratte, e che entro pochi mesi sarebbero maturate per l’operazione, della quale non dubitava punto che sarebbe riuscita a meraviglia, mi si rimise l’anima in corpo. Oh il gran dono è la luce! Non l’apprezza mai degnamente che chi l’ha perduta. Indi il dottore mi chiese notizia di me, della mia famiglia, e come stavano le cose, e chiarito di tutto, mi diede lusinga che egli avrebbe fatto venire in Inghilterra l’Aquilina e i figliuoli miei, dove avrebbe pensato a stabilirmi in modo, che fossero piuttosto utili pel futuro che costosi al presente. Egli aveva una gran clientela di lordi e di principi dei quali governava a suo grado l’influenza; e le rimostranze che si erano udite al Parlamento per le deliberazioni del Congresso di Verona furono, credo, inspirate da lui.

Io voleva ritrarmi, per le grandi spese che a ciò si dovevano incontrare, e per le quali certamente la mia borsa era tutt’altro che preparata; e più, debbo confessarvelo, aveva quasi vergogna di manifestare questa gran premura di avere presso di me la mia famiglia, parendomi quasi far onta alla devozione unica e generosa della Pisana. Rimasti soli un momento, soffiai questo mio scrupolo al dottore.

— No, no, — mi rispose egli mestamente; — gente di casa vi sarà necessaria; credete che ne proverrà gran bene anche alla contessa Pisana. —

Io voleva che mi chiarisse meglio questo enigma, ma