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446 le confessioni d’un ottuagenario.

mai di perseguitarmi?... Ma non vedete, non comprendete il dolore senza fine e senza speranza che mi strazia le viscere, al solo pensiero che io, io solo abbia affrettato d’un giorno la partenza d’un’anima sì generosa e diletta?... La morte, voi dite, è necessità. Ben venga la morte!... Ma l’assassinio, Lucilio, l’assassinio di quella sola creatura che vi ha amato più di se stessa, più della vita, più dell’onore, oh questo è un delitto che non ha per iscusa la necessità, nè per espiazione la pazienza. Sia per lavarlo che per dimenticarlo, fa d’uopo il sacrifizio di un’altra vita; la morte sola salda il debito della morte.

— La morte anzi non salda nulla, credetelo a me.... La morte come consolazione non può tardarvi a lungo, e l’affrettarla sarebbe fuggire dalla penitenza; come oblio sareste tanto pusillanime da cercarla?.... Io non sono di quei prudenti idolatri della vita, che nella moglie, nei figliuoli, nella patria si preparano altrettante scuse, per non arrischiarla neppur al pericolo d’un’infreddatura: ma quando ad una virtù dubbia ed inutile s’oppongono virtù certe, utilissime, generose, quando le passioni vi lasciano il tempo di deliberare, oh allora, Carlo, la famiglia, la patria, l’umanità vi comandano di non disertare, di combattere fino all’estremo!....

— No! è inutile sperarlo! io non avrò più forza di combattere! Meglio è sbarazzare il campo d’un inutile ingombro. Ogni altro affetto mi sarebbe un rimorso; son troppo infelice, Lucilio! Avrò veduto morire colei alla quale avrei dovuto abbellire la vita colle gioje più sante dell’amore, e della devozione!

— Ed io, dunque, ed io? — sclamò con un ruggito Lucilio, afferrandomi il braccio convulsivamente. — Ed io, cosa credete voi, che sia poco infelice?... Io che ho veduto disseccarsi l’anima dell’anima mia, io che ho assistito ancora e bollente di passioni, al funerale d’ogni mia