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504 le confessioni d’un ottuagenario.

non sarebbero nulla senza un noioso mal di petto regalatomi dal clima di Londra. Abbiamo un bel difenderci noi, figliuoli del sole; le nebbie ci rovinano.

— Spero bene che scherzi — gli risposi io, — e che come hai guarito me nella vista, così guarirai te nel petto.

— Ti ripeto che vengo a mantenere la mia parola. Del resto noi ci conosciamo, e non si abbisognano nè scambievoli cerimonie, nè bugie. Sappiamo cosa si può sperare della vita, e qual bene o qual male è la morte. Se io ti recitassi ora la commedia con questa mia indifferenza, avresti ragione di piagnucolare; ma sai che parlo come penso, e che se dico di morire in pace, in pace anche morrò. Soltanto ti confesso che mi duole all’anima di non vedere la fine; ma è un malanno che è toccato a dieci generazioni prima della mia e non giova lamentarsene. Le mie azioni, le mie idee, il mio spirito che con grande studio e con qualche fatica ho educato ad amare ed a volere il bene, soffocando anche le passioni che lo dominavano, tutto, io credo seguiterà a servire quella meravigliosa provvidenza che va perfezionando l’ordine morale. Ti ricordi dei mondi concentrici di Goethe? Non saranno una verità; ma una profonda e filosofica allegoria. I nostri sospiri, le nostre parole si ripercuotono lontano lontano, affievoliti sempre, annullati mai, come quei cerchi che s’allargano intorno a quel punto del lago che fu percosso da un sasso. La vita nasce da contrazione, la morte da espansione; ma la vitalità universale assorbe in sè questi varii movimenti, che sono per lei quasi funzioni di visceri diversi. —

Io ascoltava devotamente le parole di Lucilio, perchè rarissimi sono coloro che sanno volgere a vero conforto le alte speculazioni della filosofia, e questo è privilegio concesso ai pochissimi che ebbero da natura o si procacciarono coll’educazione e colla forza della volontà la concordia intima dei sentimenti coi pensieri. Certo io non era in grado di batter