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532 le confessioni d’un ottuagenario.

del diverbio, e proponendomi di osservar la Pisana più che non avessi fatto per l’addietro. Negli ultimi giorni principalmente la mi sembrava così preoccupata, così facile a cambiar di colore e confondersi, che se gatta ci covava non me ne sarei meravigliato. Mia moglie invece affermava che quelli erano gli indizi soliti di quel certo passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, che turba inconsapevolmente l’innocenza delle ragazze. Io che d’innocenza me n’intendeva, e più forse ancora di malizia, non sapeva star contento a quell’opinione, e guardava e spiava sempre con ogni accorgimento di prudenza, persuaso che alla lunga la paziente furberia del vecchio l’avrebbe spuntata contro l’accortezza della fanciulla. Le cure ch’ella si dava di comparir tranquilla e disinvolta ogniqualvolta s’accorgesse di esser osservata, mi confermavano nel sospetto che non si trattasse nè punto nè poco di quell’inconsapevole turbamento messo innanzi da sua madre; ma i giorni passavano e non veniva a capo di scoprir nulla.

Finalmente una sera che l’Aquilina era uscita con suo fratello giunto allor allora dal Friuli, ed io pure doveva rimaner assente fino ad ora tarda, tornandomene non so per qual cagione a casa, ed entrato nella stanza ove lavoravano di solito le donne, non ci trovai la Pisana. Ne chiesi alla cameriera e mi rispose che la era nella stanza da letto. Allora avvicinatomi pian piano mi parve udire lo scricchiolio d’una penna d’acciaio, e tutto ad un tratto facendo per aprir l’uscio, non lo potei perchè era chiuso a chiave.

— Chi è? — disse con voce un po’ paurosa la fanciulla.

— Eh, nulla!... Son io che veniva a vedere di te.

— Subito, subito, papà: mi son cambiata tutta perchè a finir quel ricamo sudai tanto questa sera, ch’era bagnata come un pulcino. Ma ora vengo ad aprirti. —

Infatti aperse e m’accolse con un sì bel sorriso sulle labbra che dovetti baciarla, e rimettere anche non poco