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556 le confessioni d’un ottuagenario.

pascolavano due capre, e una fanciulla canterellava lì presso spiandomi curiosamente e sospendendo di filare. Ravvisai lo spazio del cortile, e in mezzo ad esso la pietra sotto la quale avea fatto seppellire il cane da caccia del capitano. Forse era l’unico monumento delle mie memorie che restasse intatto; ma no, m’inganno; tutto ancora in quei luoghi diletti mi ricordava i cari anni dell’infanzia e della giovinezza. Le piante, la peschiera, i prati, l’aria ed il cielo, mi menavano a rivivere in quel lontano passato. Sull’angolo della fossa sorgeva ancora alla mia fantasia il negro torrione, dove tante volte aveva ammirato Germano che caricava l’orologio; rivedeva i lunghi corritoj pei quali Martino mi conduceva per mano all’ora di coricarsi, e la sua romita cameretta dove le rondini non avrebbero più sospeso il loro nido. Mi sembrava veder passare sullo sterrato o Monsignore col breviario sotto l’ascella, o il grandioso carrozzone di famiglia con entro il conte, la contessa e il signor cancelliere, o il cavalluccio di Marchetto sul quale soleva arrampicarmi. Vedeva capitare ad una ad una le visite del dopopranzo, Monsignore di Sant’Andrea, Giulio Del Ponte, il cappellano, il Piovano, il bel Partistagno, Lucilio; udiva le loro voci tumultuare nel tinello intorno ai tavolini da gioco, e la Clara leggicchiare a mezza bocca qualche ottava dell’Ariosto sotto i salici dell’ortaglia. Succedevano poi gli inviti clamorosi de’ miei compagni di trastulli; ma io non rispondeva loro, e ritraevami invece soletto e beato a giocolare colla Pisana, sul margine della peschiera.

Oh con qual religiosa mestizia, con quanto dilicato tremore mi accostava a questa memoria che pur palpitava in tutte le altre, e cresceva ad esse soavità e melanconia!... Oh Pisana, Pisana! quanto piansi quel giorno; e benedico te, e benedico Iddio, che le lagrime dell’ottuagenario non furono tutte di dolore. Mi ritrassi a notte fatta da quelle