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576 le confessioni d’un ottuagenario.

del Piemonte. Se io avessi saputo prima di salpare da Civitavecchia la proscrizione di mio cognato, e la dimora di lui e di mia sorella a Genova, certo mi sarei volto colà. Ma allora, oltrechè m’adescavano quelle imprese grandi e lontane, mi doleva anche l’anima di abbandonar il buon dottore e la sua famigliuola. La compagnia d’un giovane può esser loro di grande ajuto, e beato me se potessi accelerare d’un giorno solo l’avveramento delle sue speranze! Rimasi dunque, fermo di partecipare alla sua sorte ed al ritorno.

Il Brasile è uno Stato nuovo ed ordinato. L’ingegnere non disperava di procurare al dottor Ciampoli un posto assai lucroso; ma ci voleva tempo. Aspettammo dunque; e al dottore si provvide intanto con un discreto impiego nell’ufficio delle Statistiche imperiali, mentre io, esponendo i miei titoli di capitano ottenni un grado di maggiore nella fanteria di confine. Nell’esercito trovai viva la memoria d’un altro amico di mio padre, del maresciallo Alessandro Giorgi, che partì due anni fa per Venezia al primo annunzio della rivoluzione, e lo dicono morto colà di ferite. Se deggio credere a quanto mi si narra, fu uomo veramente straordinario; non di sublime ingegno ma di quella virtù tenace, confidente, incrollabile, che bene spesso tien vece anco d’ingegno. Egli solo, in poco tempo, con ottocento uomini di truppa regolare ridusse a soggezione, ordinò, e stabilì uniformità di leggi e d’imposte in quell’immensa provincia centrale di Mato–Grosso, che vince la Francia in grandezza. A udir minutamente tutte le imprese da lui condotte a termine in trent’anni su quei confini ignorati della civiltà, c’è da credere che non sia passata ancora l’età dei portenti. Se sapessi di prosodia, vorrei far vedere che i poemi non sono rancidumi; e si può benissimo scriverne finchè cotali eroi ne porgono materia. L’imperatore gli avea donato la Duchea