Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/593

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capitolo ventesimoterzo. 585

rinfusa nelle fiamme dell’inferno, e noi scendendo dal monte lontano un miglio appena, ne vedevamo allora le sinistre apparizioni. Il dottore cadde in ginocchio colpito da una freccia, ed ebbe il coraggio di volgersi ad attirare a sè il garzoncello che stringeva la Gemma fra le braccia, e continuava a difender sè e loro roteando la spada. Ma la ferita zampillava sangue come una fontana, e cadde riverso mentre cresceva intorno la rabbia degli assalitori. Allora il Fabietto, fanciullo miracoloso, brandì la spada del padre, e abbandonando la sorella svenuta sul cadavere di lui, sostenne per qualche minuto una battaglia terribile e senza speranza. Oh perchè il corriere non ci avea incontrati un’ora prima!... Il fanciullo, colpito da molte frecce, stramazzò mormorando il nome di Maria, e i selvaggi si precipitarono sopra quei corpi benedetti per adornare il loro mostruoso trionfo; ma in quella il vecchio prete portoghese che avea saputo dell’eccidio della Sopraintendenza, accorse in camice e stola col crocefisso in mano. L’aspetto di quell’uomo disarmato che parlava loro di pace nel linguaggio nativo, e che si esponeva senza paura ai loro strazii per salvar i fratelli, arrestò un momento i selvaggi!... Intanto ci si diè tempo di giungere.

Quello ch’io vidi, quello che soffersi e operai nel resto di quella notte, lo sa Iddio; io non me ne ricordo più. Al mattino, trecento cadaveri indiani s’ammucchiavano qua e là sullo sterrato dei forti; ma il povero dottore, suo figlio e duecento dei nostri, tra soldati e coloni, ci avean lasciato la vita. La Gemma non era tornata in sè che per cadere nella pazzia, e d’allora in poi il suo delirio durò quasi due mesi. Le caserme rovinate, gli stabilimenti incesi, le tribù indiane che s’ingrossavano intorno sempre più, mentre noi eravamo assottigliati di numero e di forze, ci persuasero di ritirarci a Villabella. Qui la guari-