Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/73

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l’uomo vecchio; egli si rizzò ancora, l’orgoglioso gigante, dalla sua breve sconfitta; le sventure della patria lo trovarono forte, invincibile a sopportarle; forse tanto più forte ed invincibile quanto era più disperato di sè. La Clara pronunciò solennemente i suoi voti, e Lucilio serbò tutta per sè l’angoscia e la rabbia per questa perdita irrimediabile.

La Pisana si sposò poco dopo al nobiluomo Navagero: e Giulio Del Ponte li seguì all’altare col sorriso della speranza sul volto. Egli non l’amava come l’amava io. Io solo adunque rimasi a fare spettacolo per ogni luogo del mio furore, del mio accoramento. Non potea darmi pace, non potea pensare al futuro senza rabbrividire; eppure non osava neppur allora nei delirii del dolore maledire alla Pisana; e tutte le mie maledizioni le serbava per la contessa che aveva avvilito la propria figlia in un matrimonio mostruoso, per godere l’abbondanza e la comodità di casa Navagero. Seppi poi di più, che anche le astuzie adoperate per imbigottire la Clara dipendevano da una quistione di quattrini. La vecchia non avea pagato al convento che metà della dote, e promesso il resto ed assicuratolo sopra le sue gioje: ma lo scrigno era vuoto, le gioje brillavano al Monte di Pietà, ed essa temeva sul serio che la Clara maritandosi le avrebbe chiesto conto di ogni suo avere. Ecco molti guaj dovuti alla smania troppo furiosa d’una Dama per la bassetta e pel faraone. Il conte Rinaldo si era salvato da quella ruina e dal disonorevole patrocinio del cognato, accettando un posto oscurissimo nella Ragioneria del governo. Un ducato d’argento al giorno e la Biblioteca Marciana lo assicuravano da tutti i bisogni della vita. Ma io lo vedeva anche lui camminare per via col capo chino e cogli occhi internati; scommetto che non era l’ultimo a sentire dolorosamente la viltà di quei costumi, di quei tempi.

Lo confesso colla vergogna sul volto; era proprio viltà.