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le confessioni d'un ottuagenario. |
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Tutti sapevano ove si precipitava e ognuno faceva le viste di non saperlo, per esser liberato dall’incomodo di disperarsene. Il solo Barzoni fra i letterati osò alzare la voce contro i Francesi, con quel suo libro già in addietro accennato dei Romani in Grecia. Ma questa erudizione falsificata in libello, questa satira stiracchiata colle analogie è già indizio di temperamento fiacco, e di letteratura evirata. Fu un gran sussurro intorno a quel libro ed all’anonimo autore; ma lo leggevano a porte chiuse col solo testimonio della candela, pronti a gettarlo sul fuoco al minimo sussurro, ed a proclamare il giorno dopo sui caffè che le depredazioni di Lucullo e l’astuta generosità di Flaminio non somigliavano per nulla al governo generoso e liberale del Bonaparte. Infatti egli ci spogliava della camicia per farne un presente alla libertà dì Francia; i futuri servi dovevano restare ignudi come gli Iloti di Sparta. Egli aveva già rimpastato intorno a Milano la Repubblica cisalpina, minaccia più che promessa alla sempre provvisoria Municipalità di Venezia. La liberazione del signor D’Entragnes, ministro borbonico, vilmente consegnatogli dalla scaduta Signoria, lo aveva messo in voce di galantuomo presso gli emigrati: ne speravano un Monk; guardate che nasi! Invece i repubblicani incorreggibili, i demolitori della Bastiglia, gli adoratori degli alberi, i Bruti, i Curzi, i Timoleoni lo adocchiavano dì sbieco, tacciandolo sottovoce di alterigia, di falsità, di tirannia. La Municipalità, che dopo lo scacco di Bassano si sentiva mancar sotto i piedi il terreno, ebbe l’ingenuo capriccio di chiedere l’incorporamento degli Stati Veneziani nella nuova Repubblica Lombarda. Ma i governanti di questa risposero parole dure ed altiere; sarebbe un fratricidio, se la volontà sottintesa del Bonaparte non la spiegasse per servilità. Ad ogni modo restino infamati per sempre i nomi di coloro che sottoscrissero un foglio, dove si negava ajuto a una città sorella, sventurata e pericolante. Meglio anne-