Pagina:Le dicerie sacre.djvu/314

Da Wikisource.

Diceria II. joj- che lamenteuoli accenti Infinga la paterna * pietà . Detti meni Deus meus, vt quid me de- reliquifti ? O che apoftrofe , ò che diefi, ò che fìncopa ! Pur come voglia dire . PADRE padre , Udrò mio , Iddio mio, dunque farà egli vero, che tu folo inqujfto vniuerlal concerto òifcordi ? Tu folo trà gli armonici applauft dcll'Vniuetfo non renderai fuono confotme_> ? E’ poflìbile , che mentre tutte le creature fi commouono à compatirmi , fola la tua rigoro- fa , c Icuera Gmllitia confentaal mio cosi pretto morire ì Chi vide mai, che’l Sole «egade la luce alla terra ? che’l fonte negaffe l’onde_> al fiume} che il cuore negafle il nutrimento al corpo ? l’Angiolo non lafcia lacuftodia del- l'huomo. Il medico non abbandona la cora_j dell’infermo. Il Padre non fi fcorda della difc- fa del figlio. E tu Padre , s'io fon tuo figlio, perche mi volgi le fpalle ? Se fon'mfermo , perche inafpnfci le m'e piaghe > Se mi fon fatto huomo , perche di me ti dimentichi > Se fei il mio cuore , perche non mi nntrifei ? Se fei il mio fonte,perche mi contendi l'acqua ? Se fei il mio Sole,perche ritiri i tuoi raggi indietro? Sto, & non rejfpicis» Ciano, & ntn exaudis: Mutatili ei mibi in crudelem. LamiMitauafi Marta . Domine non ejl tibi turt,, quid Jotor mea reli- quit me/o/«CT.Lamcntauafi Dau'd. Saluto» me fac Domine Deus, quia intrauerunt aqUA v/% ad animammeam.Mi con quanta maggior ragione debbo io di te btn:ntarmi,che in sù’l pili bello del patire mi lafci in abbandono? Il defide* rio crefce.e la vita mancajmi fi accoicia J.i pena, e mi fi prolunga l’affetto ; fi dilata il penfiero, e fi rcftuiigc il tempo j l'intectiouc vorrebbe $