Pagina:Le mie prigioni.djvu/112

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calmarono. Veramente io non erane invaghito. Esaminai lungo tempo i miei scrupoli; scrissi le mie riflessioni su questo soggetto, e lo svolgimento di esse mi giovava.

L’uomo talvolta s’atterrisce di spauracchi da nulla. A fine di non temerli, bisogna considerarli con più attenzione e più da vicino.

E che colpa v’era, s’io desiderava con tenera inquietudine le sue visite, s’io ne apprezzava la dolcezza, s’io godea d’essere compianto da lei, e di retribuirle pietà per pietà, dacchè i nostri pensieri relativi uno all’altro erano puri come i più puri pensieri dell’infanzia, dacchè le sue stesse toccate di mano ed i suoi più amorevoli sguardi turbandomi m’empieano di salutare riverenza?

Una sera, effondendo nel mio cuore una grande afflizione ch’ella avea provato, l’infelice mi gettò le braccia al collo, e mi coperse il volto delle sue lagrime. In quest’amplesso non v’era la minima idea profana. Una figlia non può abbracciare con più rispetto il suo padre.

Se non che, dopo il fatto, la mia immaginativa ne rimase troppo colpita. Quell’amplesso mi tornava spesso alla mente, e allora io non potea più pensare ad altro.