Pagina:Le mie prigioni.djvu/335

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— Che cosa ha da sapere? Signore, non si tratta di Francesche. Si tratta d’una Francesca da Rimini unica. Voglio dire la tragedia del signor Silvio Pellico. Qui l’hanno messa in opera, guastandola un pochino, ma tutt’uno è sempre quella.

— Ah! Silvio Pellico? Mi pare d’aver inteso a nominarlo. Non è quel cattivo mobile che fu condannato a morte e poi a carcere duro, otto o nove anni sono? —

Non avessi mai detto questo scherzo! Si guardò intorno, poi guardò me, digrignò trentadue bellissimi denti, e se non avesse udito rumore, credo m’accoppava.

Se n’andò borbottando: — Cattivo mobile? — Ma prima ch’io partissi, scoperse chi mi fossi. Ei non sapea più né interrogare, né rispondere, né servire, né camminare. Non sapea più altro che pormi gli occhi addosso, fregarsi le mani, e dire a tutti, senza proposito: — Sior sì, sior sì! che parea che sternutasse.

Due giorni dopo, addì 9 settembre, giunsi col commissario a Milano. All’avvicinarmi a questa città, al rivedere la cupola del Duomo, al ripassare in quel viale di Loreto già mia passeggiata