Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/166

Da Wikisource.

150

con un sospiro, «vi trovate voi qui? Sono venticinque anni che vi dimoro, e in tutto questo tempo no ho veduto altr’uomo fuor di voi.

«La mirabile sua beltà, che mi aveva già dato nell’occhio, la sua dolcezza e la civiltà colla quale mi accoglieva, spinsermi a dirle: — Mia signora, prima d’aver l’onore di soddisfare alla vostra curiosità, permettete di dirvi che mi compiaccio infinitamente di questo impreveduto incontro, il quale mi porge occasione di consolarmi nell’afflizione in cui mi trovo, e di rendervi forse più felice che non siate.» Le raccontai fedelmente per quale strana combinazione vedesse in me il figlio d’un re nello stato in cui le compariva davanti, e come il caso m’avesse fatto scoprire l’ingresso della sua prigione magnifica, ma, secondo tutte le apparenze, noiosa. — Aimè! principe,» diss’ella sospirando di nuovo, «avete ben ragione di pensare che questa prigione, tanto ricca e pomposa, non lasci d’essere, un noioso soggiorno; i luoghi più deliziosi non riescono mai graditi quando vi si sta contro voglia. È impossibile che non abbiate mai udito parlare del grande Epitimaro, re dell’isola di Ebano, così chiamata a cagione di quel legno prezioso che in abbondanza produce. Io sono la principessa sua figliuola. Il re mio padre aveami scelto per isposo un principe mio cugino; ma la prima notte delle nozze, in mezzo alle feste della corte e della capitale del regno dell’isola d’Ebano, prima che fossi consegnata al marito, un genio mi rapì. In tal momento svenni, e quand’ebbi ripreso l’uso de’ sensi, mi trovai in questo palazzo. Stata lungamente inconsolabile, il tempo e la necessità mi avvezzarono a vedere e soffrire il genio. Sono venticinque anni, come già accennai, che qui mi trovo, ove posso dire d’avere a mia disposizione quanto è necessario alla vita e può contentare una principessa