Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/247

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«Un giorno ch’era sola, occupata ne’ miei domestici affari, vennero a dirmi che una dama desiderava parlarmi. Ordinai di farla entrare, e vidi una donna d’avanzata età. Mi salutò essa baciando la terra, e mi disse, stando in ginocchio: — Mia buona signora, vi supplico di scusare la libertà che mi prendo di venire ad importunarvi: la mia fiducia nella vostra carità me ne somministra l’ardire. Vi dirò dunque, onorevolissima dama, che ho una figlia orfana, la quale deve oggi maritarsi; siamo entrambe forestiere, e non abbiamo conoscenza alcuna in questa città. Grande è il nostro imbarazzo, non volendo far conoscere alla numerosa famiglia colla quale siamo per imparentarci, di essere affatto sconosciute, e che abbiamo qualche appoggio. Per ciò, benefica signora, se gradiste onorare queste nozze colla vostra presenza, noi vi professeremmo tanta maggior obbligazione, in quanto che le dame del nostro paese conosceranno non esser noi qui risguardate come miserabili, allorchè sarà lor noto che una persona del vostro grado non isdegnò di farci tanto onore. Ma, oimè! se non cedete alla mia preghiera, quale mortificazione per noi! Non sappiamo a chi rivolgerci.

«Tale discorso, che la povera vecchia frammischiò di lagrime, mi mosse a pietà. — Mia buona donna,» le dissi, «non vi affliggete; sono disposta a secondarvi: ditemi dove debbo venire; non domando che il tempo di vestirmi con qualche decenza.» La vecchia, tripudiante di gioia a questa risposta, fu più pronta a baciarmi i piedi ch’io non lo fossi ad impedirnela. — Mia signora,» ripigliò alzandosi, «Dio vi


    ch’è uno dei dogmi fondamentali della religione meomettana, e che fu spesso mal a proposito confusa col fatalismo. I Persiani, però, settari di Alì, osservano un lutto di quaranta giorni, nei primi dei quali usano portare vestiti di colore oscuro: ma hanno in avversione l’abito nero, al par di tutti gli altri maomettani.