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NOTTE LXXV


— «Il discorso del capitano,» disse Sindbad, «mise in gran costernazione l’equipaggio, ed in breve conobbimo che quanto ci aveva detto era pur troppo vero. Vedemmo infatti comparire una moltitudine innumerevole di selvaggi orridi, coperti per tutto il corpo di peli rossi, ed alti non più di due piedi, i quali, gettandosi a nuoto, in poco tempo circondarono il vascello. Ci parlavano nell’accostarsi, ma noi non intendevano il loro linguaggio. Si appigliarono ai fianchi ed ai cordami del bastimento, e s’arrampicarono da ogni parte fin sul ponte, con tanta agilità e lestezza, che pareva non appoggiassero il piede.

«Li vedemmo fare quella manovra collo spavento che potete immaginarvi, senza osar di metterci in difesa, nè dire una sola parola, onde cercare di distorglierli dal loro disegno, che sospettavamo funesto. Infatti, spiegarono le vele, tagliarono la gomona dell’ancora senza darsi la pena di ritirarla, e fatto avvicinare a terra il vascello, ci fecero tutti sbarcare. Condussero poscia la nave in un’altra isola, d’ond’erane venuti. I naviganti schivavano con ogni cura quella in cui ci trovavamo allora, essendo assai pericoloso il fermarvisi per la ragione che or ora udrete; ma ne in d’uopo sopportare pazientemente il nostro malanno.

«Ci allontanammo dalla spiaggia, e inoltrandoci nell’isola, trovammo alcune frutta ed erbe che ci servirono di cibo per prolungare l’ultimo momento della nostra vita il più che fosse possibile, aspettandoci tutti ad una morte certa. Cammin facendo, scorgemmo da lontano un grande edifizio, verso il quale