Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/282

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«Siccome erami venuto in mente un progetto su ciò, lo comunicai ai compagni, che l’approvarono. — Fratelli,» dissi allora, «sapete che lungo la spiaggia c’è molta legna; se volete far a modo mio, ne costrurremo zattere che ci possano portare, e finite che siano, lasciamole sulla costa finchè giudicheremo a proposito di servircene. Intanto, eseguiremo il disegno che v’ho proposto per liberarci dal gigante; se riesce, potremo aspettar qui con pazienza che qualche vascello, il quale ci ritiri da quest’isola fatale; se invece il colpo fallisce, correremo prontamente alle nostre zattere, e ci metteremo in mare. Confesso che esponendoci al furor dell’onde sopra sì fragili tavole, si arrischia di perdere la vita; ma quando pur dovessimo perire, non è più dolce andar travolti nei gorghi marini, anzichè nel ventre di questo immane mostro, che ha già divorato due nostri compagni?» Fu il mio consiglio approvato da tutti, e subito ci accingemmo a costruire zattere capaci di tre persone.

«Tornati verso sera al palazzo, il gigante vi giunse poco dopo, e fu ancora giuocoforza risolverci a veder arrostito un altro de’ nostri: ma infine, ecco in qual guisa ci vendicammo della sua crudeltà. Finito ch’ebbe l’esecrabile sua cena, sdraiatosi, s’addormentò. Appena l’udimmo russare secondo il solito, nove de’ più arditi fra noi, ed io con loro, prendemmo ciascuno uno schidione, e fattone arroventare la punta sul fuoco, gliela conficcammo, tutti in una volta, nell’occhio.

«Il dolore che ne provò il gigante gli fe’ gettare uno spaventevole grido; si alzò furibondo, e distese le mani da tutti i lati per impadronirsi di qualcuno onde sagrificarlo alla sua rabbia; ma avemmo tempo d’allontanarci e buttarci bocconi ne’ siti ove non poteva incontrarne tra’ piedi. Dopo averci inutilmente cer-