Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/312

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da qualche parte; costruendo una zattera ed abbandonandomi su di essa alla corrente, arriverò ad una terra abitata o perirò: se perisco, non avrò fatto che cangiar genere di morte; se invece esco da questo luogo fatale, non solo eviterò il tristo destino de’ miei compagni, ma troverò forse nuova occasione di arricchire. Chi sa che la fortuna non mi attenda all’uscire da questo spaventoso scoglio, per indennizzarmi con usura del mio naufragio? —

«Dopo tal ragionamento, non esitai a mettermi all’opra: costrussi la zattera con travi e grosse gomone onde avea abbondanza; le legai ben bene insieme, e ne feci un solidissimo navicello. Quando l’ebbi finito, lo caricai di alcune balle di rubini, di smeraldi, d’ambra grigia, di cristallo di rocca e di stoffe preziose; poste tutte queste cose in equilibrio, ed assicuratele alla meglio, m’imbarcai sulla zattera con due piccoli remi che non aveva dimenticato di fare, ed abbandonatomi al corso del fiume, mi rassegnai alla volontà di Dio.

«Appena fui sotto alla volta, mi trovai circondato di tenebre, e la corrente trascinavami senza poter comprendere dove mi trasportasse. Vogai così alcuni giorni in quell’oscurità, non mai scorgendo raggio di luce; un dì trovai la volta sì bassa che poco mancò non mi fracassassi la testa; il che mi rese più attento ad evitare simile pericolo. In tutto quel tempo non mangiai dei viveri che mi restavano se non appena il necessario per sostentarmi. Ma per quanta frugalità cercassi adoperare, finii di consumar le mie provvigioni; ed allora, senza poter sottrarmene, un dolce sonno s’impadronì de’ miei sensi. Non posso dirvi se dormii a lungo: ma allo svegliarmi, mi vidi con sorpresa in una vasta campagna, in riva ad un fiume ove stava legata la mia zattera, ed in mezzo a molti negri. Mi alzai, appena li vidi, e li salutai; mi parlarono essi, ma io non intendeva il loro idioma.