Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/32

Da Wikisource.

16

gemiti. Talchè invece delle lodi e benedizioni ond’era stato ricolmo fin allora il sultano, non udivansi che imprecazioni contro di lui.

Il gran visir il quale, come fu detto, era suo malgrado il ministro di tanta ferocia, aveva due figlie, la maggiore delle quali aveva nome Scheherazade, e l’altra Dinarzade, entrambe piene di merito; ma specialmente la prima possedeva viril coraggio, molto spirito e maravigliosa penetrazione. — Versata nei libri e dotata di prodigiosa memoria, nulla erale sfuggito di quanto leggeva. Aveva con bell’esito studiato filosofia, medicina, storia ed arti, e componeva versi meglio dei più celebri poeti del suo tempo. Aggiungasi una bellezza straordinaria e specchiate virtù, tanto che il visir amava con passione una figlia sì degna della sua tenerezza.

Un dì che stavano insieme a colloquio, la figlia gli disse: — Padre, io debbo chiedervi una grazia, cui vi supplico umilmente di non volermi negare. — Sarà mio piacere accordartela,» rispose il visir, «qualora sia giusta e ragionevole. — Oh! ella non può essere più giusta, e voi ne potrete giudicare dal motivo che mi spinge a chiedervela. Io ho in animo di fermare il corso delle barbarie che il sultano esercita sulle famiglie di questa città; voglio dissipare il giusto timore che hanno tante madri di perdere le loro figliuole in sì funesta maniera. — Figlia cara, il tuo pensiero è lodevolissimo,» soggiunse il visir, «ma il male cui vorresti allontanare, parmi irrimediabile. In qual modo pensi tu di venirne a capo? — Padre,» rispose Scheherazade, «poichè per mezzo vostro il sultano celebra ogni dì nuovi sponsali, io vi scongiuro, per la tenera affezione che avete per me, di procurarmi l’onore del suo letto.» Il visir ascoltò raccapricciando tali parole, e sclamò sdegnato: — Aimè! hai forse smarrito il senno, o figlia, facendomi sì perigliosa preghiera? Tu