Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/33

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sai che il sultano ha giurato sull’anima sua di non dormire più d’una notte colla medesima donna, e farla morire il dì seguente; e vorresti che gli proponessi di sposarti? Non pensasti a che ti espone il tuo indiscreto zelo? — Sì, padre,» soggiunse la magnanima fanciulla, «conosco il pericolo, che penso d’affrontare, nè per questo me ne spavento. Se soccombo, la mia morte sarà gloriosa, e se riesco nella mia impresa, avrò reso alla mia patria un importante servigio. — No,» disse il visir, «ad onta di quanto tu mi possa dire per persuadermi a lasciarti incorrere in sì fiero pericolo, io non acconsentirò giammai. Quando il sultano mi comanderà d’immergerti un ferro nel seno, oimè! sarà pur d’uopo obbedire; qual tristo ufficio per un padre! Ah! se non temi la morte, almeno trattengati il pensiero del mio mortale affanno al vedermi costretto a bagnar le mani nel tuo sangue. — Deh! ve ne prego ancora, padre mio,» disse Scheherazade, «concedetemi la grazia che vi domando. — La tua caparbietà,» rispose il visir, «m’eccita all’ira. Perchè vuoi correre da per te alla morte? Chi non può prevedere la fine d’un’impresa pericolosa, non sa trarsene felicemente. Io temo non ti accada come all’asino il quale, vivendo agiatamente, non seppe durar nel proprio stato. — Qual disgrazia toccò a quest’asino?» chiese Scheherazade. — Or te lo dirò,» rispose il visir; «ascolta:


L’ASINO, IL BUE ED IL COLTIVATORE.


«Certo ricco mercante possedeva molte case in campagna, nelle quali faceva allevare ogni sorta di bestiame. Ei s’era ritirato colla moglie e coi figli in un suo podere, compiacendosi d’amministrarlo da sè stesso. Costui aveva il dono d’intendere il linguaggio


     Mille ed una Notti. I.                                             2