Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/339

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avvistasi ch’era giorno, cessò dal racconto; ma la notte seguente lo ripigliò in questa guisa:


NOTTE XCIII


— Sire,» diss’ella, «fu il califfo assai maravigliato di quel racconto; ma da principe giusto, conoscendo essere colui molto più da compiangere di quello che fosse colpevole: — L’azione di questo giovane,» disse, «è scusabile davanti a Dio ed agli uomini. L’iniquo schiavo è l’unica causa di questo assassinio, e costui solo dev’essere punito. Laonde,» proseguì, volgendosi al gran visir, «ti concedo tre giorni per trovarlo: se non me lo conduci entro tal termine, ti farò morire in sua vece. —

«L’infelice Giafar, ch’erasi creduto fuor di pericolo, rimase al tutto oppresso dal nuovo ordine del califfo; ma siccome non ardiva replicare a quel principe, di cui conosceva l’indole irascibile, si tolse dalla sua presenza, ritirandosi a casa, cogli occhi pregni di lagrime, e persuaso non gli restassero più di tre giorni di vita; essendo tanto convinto di non riuscire a trovare lo schiavo, che non ne fece neppure ricerca alcuna. — È impossibile,» andava dicendo, «che in una città come Bagdad, in cui è un’infinità di schiavi negri, io possa rinvenire colui del quale si tratta. A meno che Iddio non me lo faccia conoscere, come già mi fece scoprire l’assassino, nulla mi può salvare. —

«Passò i due primi giorni ad affliggersi colla famiglia, che gli gemeva intorno, querelandosi del rigore del califfo. Venuto il terzo, si dispose a morire con fermezza, come un ministro imegerrimo, che non ha nulla da rimproverarsi. Fatti venire cadì e testimoni,