Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/338

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dandoglielo, ma ebbi bel dirgli che apparteneva a mia madre, la quale era ammalata; che tu avevi fatto un viaggio di quindici giorni per andarli a cercare; tutto fu inutile: non me lo volle restituire; e siccome lo seguiva gridando in addietro, si volse, mi battè, e poi messosi a correre a furia per varie contrade appartate, lo smarrii finalmente di vista. Da quel tempo, andai a passeggiare fuor di città attendendo il tuo ritorno; e ti aspettava, papà, per pregarti di non dirne nulla alla mamma, nel timore che non s’ammalì di più.» Ciò detto, raddoppiò le lagrime.

«Il discorso di mio figlio m’immerse in incredibile afflizione; riconobbi allora l’enormità del mio delitto, e mi pentii, ma troppo tardi, di aver creduto alle imposture dell’infame schiavo, il quale, su quanto aveva saputo da mio figlio, inventò la funesta favola da me presa per pura verità. Mio zio, qui presente, giunse in quel frattempo; ei veniva per vedere la figlia; ma invece di trovarla viva, seppe da me medesimo la misera sua fine, chè nulla gli celai; e senza aspettare che mi condannasse, mi dichiarai da me stesso il più reo degli uomini. Nonostante, invece di opprimermi di giusti rimproveri, unì le sue alle mie lagrime, e piangemmo insieme di continuo tre giorni, egli, la perdita di una figlia teneramente amata, ed io quella di una moglie carissima, e della quale privato m’era in modo sì spietato, per aver troppo lievemente creduto alle parole d’uno schiavo bugiardo.

«Ecco, Commendatore dei credenti, la confessione sincera che vostra maestà mi richiese. Ora, note vi sono tutte le circostanze della mia colpa, e vi supplica umilmente di ordinarne il castigo; per quanto rigoroso possa essere, non me ne lagnerò, e lo troverò troppo lieve a’ miei rimorsi. —

«Grande fu lo stupore del califfo....»

Scheherazade, pronunciando queste ultime parole,