Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/379

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sa la parola, disse: — Giuochiamo a qualche giuoco, ma a condizione che chi non potrà dire il suo nome e quello de’ suoi genitori, non abbia a giuocare.» Tutti, ed anche Agib, acconsentirono. Allora il ragazzo che aveva parlato, l’interrogò ad uno ad uno, e soddisfecero tutti alla condizione, fuorchè Agib, il quale rispose: — Io mi chiamo Agib, mia madre chiamasi Fior di Bellezza, e mio padre Schemseddin Mohammed. —

«A quei detti tutti i fanciulli sclamarono: — Che dite mai, Agib? Questo non è il nome di vostro padre, ma quello di vostro nonno. — Che Dio vi confonda!» replicò egli in collera. «Come! osereste dire che il visir Schemseddin Mohammed non è mio padre?» Gli risposero gli scolari smascellando dalle risa: — No, no, egli è soltanto vostro nonno, e non potete giuocare con noi; ci guarderemo anzi dall’avvicinarvi.» E sì dicendo, si allontanarono da lui beffandolo, e continuando a ridere fra loro. Agib, offesoe dei loro motteggi, si mise a piangere.

«Il maestro di scuola, che stava in ascolto ed aveva tutto udito, entrò in tal punto, e volgendosi al ragazzo: — Agib,» gli disse, «non sapete forse ancora che il visir Schemseddin Mohammed non vi è padre? Egli è vostro avo, padre della madre vostra Fior di Bellezza. Noi ignoriamo al par di voi il nome di vostro padre; solo sappiamo che il sultano aveva voluto maritare vostra madre con un suo palafreniere, il quale era gobbo, ma che un genio dormì con lei. Questo è mortificante per voi, e devo insegnarvi a trattate i vostri condiscepoli con minor alterigia di quanto faceste finora...»

«L’alba che sorgeva pose fine al discorso di Scheherazade, la quale lo ripigliò la notte seguente, dicendo al sultano delle Indie: