Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/388

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si recò da lei sul memento, accompagnato dalla figlia e dal nipote.

«La vedova di Nureddin Alì abitava sempre nel palazzo ove dimorato aveva fino alla morte il marito: era una bella casa superbamente fabbricata e adorna di marmoree colonne. Ma Schemseddin Mohammed non si perdè ad ammirarla; giuntovi, baciò la porta ed una pietra sulla quale stava scolpito in caratteri d’oro il nome di suo fratello, quindi chiese di parlare alla cognata. I domestici gli dissero trovarsi ella in un piccolo edificio a cupola, che gli mostrarono in mezzo d’un ampio cortile; in fatti, quella tenera madre soleva passare la maggior parte del giorno e della notte in quel tempietto, da lei fatto erigere per figurare la tomba di Bedreddin Hassan, cui credeva morto, dopo averlo tanto tempo aspettato indarno. Stava essa allora colà occupata a piangere il caro figliuolo, e Schemseddin Mohammed la trovò immersa in una mortale afflizione. Fattole i suoi complimenti, e supplicatala quindi di sospendere le lagrime ed i gemiti, le dichiarò come avesse l’onore di esserle cognato, e le disse pure il motivo che lo aveva costretto a partire dal Cairo e venire a Balsora...»

Sì dicendo, Scheherazade, visto comparire il giorno, cessò dal racconto; ma ripigliollo quindi così sulla fine della notte seguente:


NOTTE CXV


— «Schemseddin Mohammed,» continuò il visir Giafar, «istruita la cognata di ciò ch’era accaduto al Cairo la notte delle nozze di sua figlia, e raccontatale la propria sorpresa alla scoperta della memoria