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NOTTE CXVII


— «Ebbe appena Agib toccato il pezzo della torta, statagli servita, che fingendo di non trovarla di suo gusto, la depose; e Schaban (1) (è il nome dell’eunuco) fece anch’egli lo stesso. Si avvide la vedova di Nureddin Alì del poco caso che il nipote faceva della sua torta. — Come! figliuol mio,» gli disse, «è mai possibile che disprezziate così l’opera delle mie mani? Sappiate che nessun altro è capace di far torte di crema sì buone, tranne vostro padre Bedreddin Hassan, al quale ho insegnata la grande arte di farne di simili. — Ah! mia buona nonna,» sclamò Agib, «permettete di dirvi che, se non sapete farne di migliori, v’ha in questa città un pasticciere, il quale vi supera d’assai in codest’arte: ne abbiamo non ha guari mangiata da lui una che valeva molto meglio di questa. —

«A tali parole l’avola, guardando biecamente l’eunuco, gli disse incollerita: — Come, Schaban, vi fu forse affidata la custodia di mio nipote per condurlo a mangiare dai pasticcieri come un pitocco? — Signora,» rispose l’eunuco, «è vero che ci siamo qualche tempo fermati con un pasticciere, ma non abbiamo da lui mangiato. — Perdonate,» interruppe Agib, «siamo anzi entrati nella sua bottega, e vi abbiamo mangiato una torta di crema.» La dama, più adirata che mai contro l’eunuco, si alzò di botto da tavola, e corse alla tenda di Schemseddin Mohammed, informandolo della colpa dell’eunuco, in termini

  1. Gli Orientali danno solitamente tal nome egli eunuchi negri.