Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/488

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collana, ch‘egli teneva in mano, fosse quella ch'io voleva vendere nel bezestin. Gli risposi di sì. — Ed è vero,» proseguì egli, «che la cedete per cinquanta scerifi?» Ne convenni. «Or bene,» disse allora con accento di dileggio, «gli si diano le bastonate: ci dirà così, col suo bell’abito di mercadante, com’egli altro non sia che uno sfacciato ladro; venga battuto finchè confessi.» La violenza delle bastonate m’indusse a far una bugia: confessai, contro la verità, d’aver rubata la collana, e tosto il luogotenente di polizia mi fe’ tagliare la mano.

«Quel fatto fe’ gran rumore nel bezestin, e fui appena tornato a casa, che vidi giungere il proprietario di questa, il quale:— Figliuolo,» mi disse, «voi mi sembraste un giovane saggio e ben educato; com’è possibile che abbiate commessa un’azione sì indegna come quella, della quale sentii testè parlare? Voi stesso m’istruiste delle vostre sostanze, e non dubito che non siano quali mi diceste. Perchè non m’avete chiesto danaro? Ve ne avrei prestato; ma dopo l‘accaduto, non posso: permettere che restiate più a lungo nella mia casa: vi prego d’andar a cercarvi alloggio altrove.» Rimasi estremamente mortificato da quelle parole, e pregando il gioielliere, colle lagrime agli occhi, di permettermi di restar ancora tre giorni in quell’abitazione, egli me li accordò.

«— Aimè!» sclamai; «quale disgrazia e qual affronto! Come oserò tornare a Mussul? Tutto quello che potrò dire a mio padre, sarà bastante a persuaderlo della mia innocenza?»

Scheherazade si fermò a questo passo, vedendo comparire il giorno, e l’indomani continuò in questi termini il racconto: