Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/506

Da Wikisource.

96

signore,» gli rispondeva io, «voi mi fate maggior onore che non merito. Se dico qualche cosa di bello ne son debitore alla favorevole bontà con cui mi prestate orecchio: sono le vostre liberalità, le quali m’inspirano tutti i pensieri sublimi, che hanno la fortuna di piacervi.» Un giorno che rimase stupito d’un discorso ammirabile fattogli da me: «Gli si diano,» disse, «cento pezze d‘oro, e lo si vesta d’uno de’ miei più ricchi abiti.» Ricevetti sul momento quel regalo: tosto presi il suo oroscopo, e lo trovai il più felice del mondo. Spinsi anzi ancor più avanti la mia gratitudine, poichè gli cavai sangue colle ventose. —

«Nè si fermò qui il barbiere, ma infilzò un altro discorso della durata d’una buona mezz’ora. Stanco di udirlo, e dolente al vedere che il tempo passava inutilmente, non sapeva più cosa dirgli. — No,» sclamai, «non possibile che siavi al mondo un altr’uomo che si faccia, come voi, un piacere di far arrabbiare la gente....»

L’aurora che cominciava a tingere de‘ vividi suoi colori l’appartamento di Schahriar, obbligò Scheherazade a fermarsi, e all’indomani narrò il seguito della sua storia in questa guisa:


NOTTE CLXIII


— «Stimai,» disse il giovane zoppo di Bagdad, «di riuscir meglio prendendo il barbiere colle buone. — In nome di Dio,» gli dissi, «lasciate là tutti i vostri bei discorsi, e spicciatemi presto per carità: un affare della massima importanza mi chiama fuor di casa, come già v’ho detto.» A tali parole, egli si mise a ridere. — Sarebbe lodevol cosa,» disse, «se il nostro spirito restasse sempre nella medesima si-