Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/520

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trettante teste da me tagliate; può contarle. «Quando il califfo si accorse che il boia diceva la verità, mi guardò con maraviglia, e non trovandomi la fisonomia da assassino di strada: — Buon vecchio,» disse, «per qual caso vi trovate voi con questi miserabili che hanno meritato mille morti? — Commendatore dei credenti,» gli risposi, «ve ne farò una confessione sincera. Avendo veduto stamattina entrare in un battello quelle dieci persone, il castigo delle quali ha fatto risplendere la giustizia di vostra maestà, m’imbarcai con loro, persuaso fossero persone che andassero a solennizzare con qualche banchetto questo giorno, che è il più solenne della nostra religione. —

«Il califfo non potè trattenersi dal ridere della mia avventura; ed al contrario del giovane zoppo, il quale mi trattò da ciarliero, ammirò la mia discrezione e costanza nel conservare il silenzio. — Commendatore de’ credenti,» gli dissi, «vostra maestà non si stupisca se io tacqui in un’occasione che avrebbe eccitato il prurito di parlare in qualunque altro. Faccio speciale professione di tacermi; ed appunto per tale virtù mi acquistai il glorioso titolo di taciturno, essendo così chiamato per distinguermi da sei fratelli che ho avuti. È questo il frutto ricavato dalla mia filosofia; insomma, questa virtù forma tutta la gloria e la mia felicità. — Ben mi rallegro,» soggiunse il califfo sorridendo, «che vi abbiano dato un titolo, del quale fate sì buon uso. Ma ditemi, che sorta di gente erano i vostri fratelli? vi rassomigliavano essi? — In nessun modo,» risposi; «erano tutti ciarloni gli uni più degli altri; e quanto alla figura, eravi ancora molta differenza fra essi e me: il primo era gobbo; il secondo sdentato; guercio il terzo; il quarto cieco; il quinto aveva tronche le orecchie, e le labbra tagliate il sesto. Sono lor accadute certe avventure, che vi farebbero giudicare del loro carattere, se avessi l’onore di rac-