Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/588

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si parlarono l’uno e l’altra un tacito linguaggio, misto di sospiri, col quale in brevi momenti si dissero più cose che dir non avrebbero potuto in molto tempo. Più la giovin dama guardava il principe, e più i suoi sguardi la confermavano nel pensiero che non eragli indifferente; e Schemselnihar, già persuasa della passione del principe, reputavasi la donna più felice del mondo. Distolse finalmente gli occhi da lui per comandare alle prime donne, che avevano cominciato a cantare, di accostarsi. Si alzarono queste, e mentre facevansi avanti, le schiave negre, uscendo dal viale ove si trovavano, portarono i loro sedili, situandoli vicino alla finestra all’ingresso della sala a vôlta, ov’erano Ebn Thaher ed il principe di Persia; di modo che i sedili così disposti, col trono della favorita e le donne che aveva a’ fianchi, formarono un semicerchio intorno ad essi.

«Quando le donne, sedute prima su quei sedili, ebbero ripreso il loro posto col permesso di Schemselnihar, che glielo comandò loro con un cenno, la vezzosa favorita scelse una di esse per cantare, e questa, scorsi alcuni momenti nell’accordare il liuto, cantò una canzone, il cui senso era: Che due innamorati, i quali amavansi perdutamente, avevano l’un per l’altro illimitata tenerezza; che i loro cuori in due diversi corpi ne formavano uno solo, e che quando qualche ostacolo opponevasi a’ loro desiderii, potevano dirsi colle lagrime agli occhi: «Se noi ci amiamo, perchè ci troviamo amabili, è nostra colpa? La colpa è del destino.»

«Lasciò Schemselnihar sì ben trasparire dagli occhi e da’ gesti, essere a lei ed al principe di Persia che applicar si doveano quelle parole, ch’egli non potè contenersi. Si alzò per metà, ed avanzandosi al di sopra della balaustrata che servivagli d’appoggio, costrinse una delle compagne della donna che aveva cantato