Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/591

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versò lagrime in copia, e Schemselnihar non potè trattenere le sue.

«Ebn Thaher colse quel momento per parlare alla favorita. — Signora,» le disse, «permettetemi di rappresentarvi, che in vece di struggervi in lagrime, dovreste compiacervi di stare insieme. Non comprendo nulla a questo vostro dolore. Che sarà dunque mai quando la necessità vi obbligherà a separarvi? Ma che dico, vi obbligherà? E già assai tempo che qui ci troviamo; e v’è noto, o signora, che dobbiamo ormai ritirarci. — Ah! quanto siete crudele!» ripigliò Schemselnihar. «Voi che conoscete l’origine delle mie lagrime, non avrete pietà dell’infelice stato, in cui mi trovo? Trista fatalità! Che cosa mai feci per andar soggetta alla dura legge di non poter godere della persona che unicamente amo? —

«Siccome essa era persuasa che Ebn Thaher le avesse parlato così per sola amicizia, non s’ebbe a male i suoi detti, anzi ne approfittò. In fatti, fece un cenno alla sua confidente, la quale subito uscì, recando poco dopo una colazione di frutta sopra un tavolino d’argento, che collocò fra la padrona ed il principe di Persia. Scelse Schemselnihar il miglior frutto, e presentatolo al principe, lo pregò di mangiarlo per amor suo; egli lo prese, e se lo recò alla bocca dalla parte ch’ella aveva toccata, presentando poi a sua volta qualche cosa a Schemselnihar, la quale la prese egualmente, mangiandola nella stessa guisa. Nè dimenticò essa d’invitare Ebn Thaher a mangiar con loro; ma vedendosi egli in un luogo, ove non si credeva in troppa sicurezza, avrebbe preferito trovarsi in casa propria, e mangiò sol per compiacenza. Tolte le mense, fu portato un bacile d’argento con acqua in un vaso d’oro, e lavatesi le mani insieme, tornarono poi al proprio posto; allora, tre delle dieci donne negre recarono ciascheduna una tazza di cri-