Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/600

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uscire: tutto qui è confusione, e temo questo sia l’ultimo de’ nostri giorni. — E come volete che partiamo?» rispose Ebn Thaher, con accento che ben dimostrava il suo cordoglio. «Avvicinatevi, di grazia, e guardate in quale stato si trova il principe di Persia!» Quando la schiava lo vide svenuto, corse a cercar acqua senza perdere il tempo in discorsi, e tornò in tutta fretta.

«Finalmente, il principe di Persia, dopo che gli fu gettata l’acqua in volto, ripigliò i sensi. — Principe,» gli disse allora Ebn Thaher, «corriamo rischio di qui perire voi ed io, se più restiamo; fate dunque uno sforzo, e fuggiamo al più presto.» Era il giovane sì debole, che non potè rialzarsi da sè. Ebn Thaher e la confidente lo aiutarono, e sostenendolo d’ambe le parti, andarono fino ad una porticella di ferro che metteva sul Tigri, d’onde usciti, procedettero fino alla sponda d’un picciolo canale comunicante col fiume. Battè la confidente le mani, e tosto comparve un navicello, che venne alla loro volta con un solo barcaiuolo. Alì Ebn Becar ed il suo compagno allora s’imbarcarono, e la schiava confidente rimase sulla riva del canale. Quando il principe fu seduto nel battello, stese una mano verso il palazzo, e mettendosi l’altra sul cuore: — Caro oggetto dell’anima mia,» sclamò con voce fioca, «ricevi da questa mano la mia fede, mentre ti assicuro con quest’altra che il mio cuore conserverà eternamente il fuoco del quale ardo per te....»

Scheherazade, vedendo qui apparir l’alba, si tacque; la notte seguente proseguì di tal guisa: