Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/616

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«Dicesi che la pazienza sia un rimedio per tutti i mali; eppure essa inasprisce i miei invece di mitigarli. Benchè la vostra effigie mi stia scolpita nel più profondo del cuore, i miei occhi desiderano continuamente di vederne l’originale, e perderanno tutta la loro luce, se fa d’uopo che ne vadano privi ancora per molto tempo. Posso lusingarmi che i vostri abbiano eguale impazienza di vedermi? Sì, che lo posso, avendolo bastantemente compreso dai loro teneri sguardi. Quanto sarebbe Schemselnihar beata, e quanto felice sareste voi, o principe, se i miei desiderii, ai vostri conformi, non fossero attraversati da insuperabili ostacoli, che tanto più vivamente m’affliggono, in quanto che affliggono voi pure.

«Questi sentimenti, vergati dalle mie dita, e che esprimo con incredibile piacere, ripetendoli varie volte, mi partono dalle più intime latebre del cuore, e dalla incurabile ferita che voi vi faceste; ferita che mille volte benedico, malgrado il crudele tormento che soffro per la vostra assenza. Conterei per nulla tutto ciò che si oppone ai nostri amori, se mi fosse solamente dato di vedervi qualche volta in libertà: vi possederei allora; cosa potrei desiderare di più?

«Non immaginatevi che le mie parole dicano più ch’io non pensi. Aimè! di qualunque espressione mi possa io mai valere, pur sento di pensare più cose che non vi dica! I miei occhi, che stanno in continua veglia, versando lagrime, mentre aspettano di rivedervi: il mio cuore afflitto che voi solo desidera: i sospiri che mi sfuggono tutte le volte che penso a voi, cioè ad ogni memento: l’immaginazione che più non mi rappresenta altro oggetto fuor del caro mio principe: le querele che dirigo al cielo pel rigore del mio destino: in fine la mia tristezza, le inquietudini, i tormenti, che non mi la-