Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/131

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tornando con essi nei nostri stati; ma non sono capace di un’ingratitudine, di cui sarei la prima a rimproverarmi. — Ah, mia regina,» sclamò il re di Persia, «non parlate delle obbligazioni che mi dovete; voi non me ne avete alcuna. Anzi, ve n’ho io stesso di sì grandi, che mai non potrò dimostrarvene la mia piena riconoscenza. Non avrei creduto mi amaste al segno ch’io veggo che m’amate: me lo faceste testè conoscere nel modo più luminoso. — Oh! sire,» rispose Gulnara, «poteva io far a meno di quello che ho fatto? E non faccio ancora abbastanza, dopo tutti gli onori ricevuti, dopo tanti benefizi onde m’avete ricolma, dopo tanti contrassegni d’amore a cui non posso rimanere insensibile! Ma, o sire,» aggiunse la donna, «tralasciamo questi discorsi per assicurarvi dell’amicizia sincera, di cui la regina mia madre ed il re mio fratello v’onorano. Essi sono impazienti di vedervi e di attestando in persona. Anzi, poco mancò che non me ne attirassi lo sdegno, volendo dar loro da colazione prima di procurare ad essi codesto onore. Supplico dunque vostra maestà di degnarvi d’entrare, ed onorarli della vostra presenza.

«— Signora,» rispose il re di Persia, «grande sarà il mio piacere di salutare persone che sì da vicino vi appartengono; ma quelle fiamme che ho veduto uscir loro dalle nari e dalla bocca, mi mettono spavento. — Sire,» soggiunse ridendo la regina, «quelle fiamme non devono ispirare a vostra maestà la minima inquietudine: desse altro non significano che la ripugnanza loro a mangiare nel suo palazzo, se ella non li onora della sua presenza, e non mangia con essi.»

Scheherazade si fermò a quel passo per questa notte; e la domane ripigliò la parola in codesti termini: