Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/289

Da Wikisource.

267


NOTTE CCLXXXIII


— Sire, Kodadad fece conoscere, dal suo contegno, che volea difendere la propria vita, poichè avvicinatosegli, lo percosse aspramente nel ginocchio. Il negro, sentendosi ferito, mandò un sì orrendo grido, che ne rintronò tutta la pianura, e divenuto furibondo, spumante di rabbia, s’alza sulle staffe, e vuol colpire a sua volta Kodadad colla terribile scimitarra. Il colpo fu scagliato con tal furore, che la era finita pel giovane principe, se non usava la destrezza d’evitarlo, facendo fare un opportuno movimento al cavallo. La scimitarra piombò fischiando orribilmente per l’aere, ed allora, prima che il negro avesse tempo di scagliare un secondo colpo, Kodadad gliene scaricò uno sul braccio destro con tal forza, che lo tagliò netto. La tremenda scimitarra cadde colla mano che la stringeva, e tosto il negro, cedendo alla violenza del colpo, abbandonò le staffe, e fece rimbombar la terra del rumore di sua caduta. Nello stesso tempo il principe, disceso da cavallo, si gettò sull’avversario e gli tagliò la testa. In quel momento la donna, stata spettatrice del combattimento, e che innalzava fervidi voti al cielo pel giovane eroe cui ammirava, mandò un grido di gioia, e disse a Kodadad: — Principe (poichè la difficil vittoria che or ora riportaste mi persuade, al pari del vostro nobile aspetto, che non dovete essere di volgar condizione), principe, finite l’opera vostra: il negro tiene indosso le chiavi di questo castello; prendetele, e venitemi a cavar di prigione.» Il principe cercò nelle tasche del miserabile che stava disteso nella polve, e rinvenne parecchie chiavi.