Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/288

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sta tutti coloro che la mala sorte fa passare per codesta pianura, e li chiude in tetre prigioni, d’onde non li trae se non por divorarli.

«— Signora,» le rispose Kodadad, «ditemi soltanto chi siete, e non mettetevi in pena del resto. — Sono una fanciulla di qualità, nativa del Cairo,» ripigliò la donna; «passava vicino a questo castello per andare a Bagdad, quando incontrai, il negro, che, trucidati tutti i miei servi, qui mi condusse. Vorrei non avere a temer altro che la morte; ma per colmo d’infortunio, questo mostro vuole che abbia compiacenza per lui; e se domani non m’arrendo senza sforzo alla sua brutalità, devo aspettarmi all’ultima violenza. Ancora una volta,» proseguì; «fuggi: il negro sta per tornare; egli è uscito poco fa onde inseguire alcuni viaggiatori che scoprì di lontano nella pianura. Non hai tempo da perdere, e non so nemmeno se con una pronta fuga potrai metterti in salvo. —

«Non aveva finito tali parole, che il negro comparve: uomo di smisurata altezza e di terribile aspetto, montava un robusto cavallo tartaro, e cingeva una scimitarra così larga e pesante, ch’egli solo poteva servirsene. Avendolo il principe scorto, rimase stupito di quella mostruosa statura. Si volse al cielo per pregarlo di essergli propizio; poscia, sguainata la sciabola, attese di piè fermo il negro, il quale, disprezzando sì debole avversario, gl’intimo di arrendersi senza combattere....»

Scheherazade cessò qui di parlare; il sultano parve dolente che l’arrivo del giorno gl’impedisse di conoscere l’esito del combattimento, ed aspettò con impazienza la prossima notte.