Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/571

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e merito che mi perdoniate l’eccesso cui mi lasciai trasportare. — Sire,» rispose Aladino, «non ho il minimo motivo di lagnanza contro la condotta di vostra maestà; ella non ha fatto se non ciò che far doveva. Il mago, quell’infame, quell’infimo degli uomini, è la causa unica di tutte le mie disgrazie. Quando vostra maestà ne abbia il tempo, le farò il racconto di un’altra iniquità usatami da colui, non meno nera di questa, dalla quale fui preservato per la grazia speciale di Dio. — L’ascolterò assai volentieri,» rispose il sultano, «e tra poco. Ma pensiamo a rallegrarci, e fate levare quest’odioso oggetto. —

«Aladino fece portar via il cadavere del mago, con ordine di gettarlo al letamaio per servir di pasto agli animali ed agli uccelli rapaci; il sultano, intanto, avendo comandato che tamburi, timballi, trombe ed altri stromenti annunziassero la gioia pubblica, fece bandire una festa di dieci giorni, per l’allegrezza del ritorno della principessa Badrulbudur e del genero col palazzo.

«Così adunque Aladino schivò per la seconda volta il pericolo quasi inevitabile di perdere la vita; ma non fu l’ultimo, e ne corse un terzo di cui riferiremo le circostanze.

«Il mago affricano aveva un fratello minore, non men abile di lui nell’arte magica; anzi, può dirsi che lo superasse in malignità e perniciosi artifizi. Siccome non dimoravano sempre insieme o nella stessa città; assai spesso uno trovavasi a levante, mentre l’altro stava a ponente, ciascuno da per sè, e non mancavano d’istruirsi vicendevolmente, per mezzo della geomanzia, in qual parte del mondo fossero, in che stato si trovassero, e se avessero bisogno l’un l’altro di soccorso.

«Qualche tempo dopo che il mago dovè soccombere nella sua impresa contro la fortuna di Aladino,