Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/602

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alla spiacevole necessità di compiacervi in una cosa di cui dovreste pentirvi per tutta la vita. —

«Spinsi l’ostinazione all’estremo. — Fratello,» gli dissi fermamente, «vi prego di passar oltre su tutte le difficoltà che mi fate; mi accordaste generosamente tutto ciò che sinora vi chiesi; volete che mi parta da voi malcontento per una cosa di si poca conseguenza? In nome di Dio, concedetemi quest’ultimo favore. Checchè ne avvenga, io non me la prenderò con voi, e la colpa sarà tutta mia. —

«Fece il dervis tutta la possibile resistenza; ma vedendo ch’io era in caso di costringervelo, mi disse: — Poichè lo esigete assolutamente, eccomi a contentarvi. —

«Presa allora un po’ di quella pomata fatale, me l’applicò sull’occhio destro, ch’io teneva chiuso; ma, oimè! quando volli aprirlo, più non vidi che dense tenebre da ambi gli occhi, e rimasi cieco qual mi vedete.

«— Ah! maledetto dervis,» sclamai in quel momento, «ciò che mi prediceste pur è troppo vero! Fatale curiosità,» soggiunsi, «brama insaziabile delle ricchezze, in qual abisso di mali siete per immergermi! Ben sento ormai di essermeli meritati; ma voi, caro fratello,» tornai a sclamare, volgendomi al dervis, «voi che siete si caritatevole e benefico, fra tanti segreti maravigliosi de’ quali siete possessore, non ne avreste alcuno per ridonarmi la vista?

«— Sciagurato,» rispose allora il dervis, «non fu per mia colpa se tu non evitasti questa disgrazia; ma or non hai se non quello che meriti, e fu l’acciecamento del cuore che t’attirò quello del corpo. Vero è che posseggo molti segreti: ben lo potesti comprendere nel poco tempo che rimasi teco: ma non ne ho per restituirti la vista. Rivolgiti a Dio, se crediesser-