Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/705

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«La solitudine da cui trovossi circondato in quella tetra dimora, gli parve tremenda.

«— Brava gente,» sclamò, «compagni delle mie veglie, delle mie corse e delle mie fatiche, dove siete? Che posso io fare per voi? Vi aveva io adunati e scelti onde vedervi perire tutti in una volta, per un destino si fatale ed indegno del vostro coraggio? Meno amaro sarebbe il mio cordoglio se foste morti colla sciabola in pugno da valorosi. Quando avrò io raccolta una nuova masnada di gente destra come voi? E quando pur il volessi, potrei intraprenderlo, e non esporre tanto oro, tanto argento, tante ricchezze, in preda a colui che se n’è già arricchito in parte? Non posso, nè devo pensarvi, se prima non l’abbia tolto di mezzo. Ciò che non ho potuto fare con soccorso possente, lo tenterò io solo; e quando avrò per tal guisa provveduto acciò il tesoro non sia più esposto al saccheggio, allora lavorerò a faro che non rimanga senza successori, nè padroni dopo di me, e che si conservi ed accresca per tutta la posterità. —

«Presa tale risoluzione, ei non fu imbarazzato a cercare i mezzi di effettuarla; allora, pieno di speranza, e collo spirito tranquillo, passò chetamente la notte.

«Alla domane, il capitano de’ masnadieri, destatosi di buon’ora, com’erasi proposto, si vesti civilmente, conforme al disegno meditato, venne alla città, prese alloggio in un khan, ed aspettandosi che quanto era accaduto in casa di Alì Baba potesse aver fatto rumore, domandò al custode, per modo di conversazione, se non ci fosse qualche cosa di nuovo nella città; colui gli parlò d’ogni altra cosa fuor di quella che importavagli di sapere. Giudicò egli di qui che la ragione, per la quale Alì Baba custodiva l’importante segreto, provenisse perchè questi non voleva fosse divulgata la cognizione, cui solo possedeva, del