Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/753

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di me medesimo, e lontano dal poter far attenzione al pericolo presente, cui era già esposto in vari modi. Volli girare in senso contrario il cavicchio che aveva prima girato, ma non n’ebbi l’effetto che me ne aspettava; il cavallo continuò a portarmi in alto, allontanandomi così viemaggiormente dalla terra. In fine, avvistomi d’un altro cavicchio, lo girai; ed il cavallo, invece d’alzarsi più oltre, cominciò a declinare verso terra; e siccome mi trovai in breve avvolto nelle tenebre notturne, nè era possibile governar l’animale per farmi deporre in luogo sicuro, tenni la briglia sempre nella stessa guisa, e mi rimisi alla volontà di Dio sulla futura mia sorte.

«Sostò finalmente il cavallo; io smontai, ed esaminando il luogo, mi trovai sulla terrazza di questo palazzo, dove, veduta la porta della scala socchiusa, discesi senza rumore, finchè mi s’affacciò un uscio aperto, da cui esciva un po’ di lume. Allungai la testa, e scorgendo vari eunuchi addormentati, ed una gran luce attraverso una portiera, la necessità urgentissima, malgrado il pericolo inevitabile ond’era minacciato se gli eunuchi si fossero svegliati, m’ispirò l’ardire, per non dir la temerità, d’inoltrarmi leggermente ed aprire la portiera.

«Non è d’uopo, o principessa, dirvi il resto,» soggiunse il giovine; «voi lo sapete. Or mi resta a ringraziarvi della bontà e generosità vostra, e supplicarvi a volermi indicare per qual via io possa dimostrarvi la mia riconoscenza per tal beneficio, in guisa che ne siate soddisfatta. Siccome, secondo il diritto delle genti, io sono già vostro schiavo, nè posso più offrirvi la mia persona, altro non mi resta che il cuore. Che dico, principessa? Più non è mio questo cuore; voi me lo avete rapito colle vostre attrattive, ed in modo che, ben lungi dal ridomandarvelo, ve lo abbandono. Permettetemi adunque di dichiararvi che