Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/118

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«Non comprendendo il sultano per qual ragione i principi non volessero accettare la prova della considerazione che ad essi manifestava, la chiese loro, e li sollecitò a chiarirnelo.

«— Sire,» disse allora Bahman, «abbiamo una sorella, a noi minore, colla quale viviamo in sì stretta unione, che nulla intraprendiamo o facciamo, senza prenderne prima consiglio; come del pari, da parte sua, essa non fa nulla che non ne chiegga prima il nostro. — Lodo moltissimo la fraterna vostra concordia,» rispose il sultano; «consultate dunque vostra sorella, e domani, tornando a caccia meco, mi darete la risposta. —

«Fecero i due principi ritorno a casa, ma non si ricordarono ne l’uno, ne l’altro non solo dell’incontro col sultano e dell’onore avuto di cacciare con lui, ma nemmeno di parlare alla sorella di quello ch’egli aveva loro fatto, volendoli condur seco. Alla domane, recatisi sul luogo della caccia presso il sultano:

«— Ebbene,» questi li richiese, «avete parlato con vostra sorella? Ebb’ella la compiacenza di acconsentire al piacere che aspetto di vedervi più intimamente? —

«Guardaronsi i giovani l’un l’altro, ed il rossore salì loro al volto.

«— Sire,» rispose Bahman, «supplichiamo vostra maestà ad iscusarci; nè mio fratello, nè io ce ne siamo ricordati. — Ve ne sovvenga dunque oggi,» riprese il sultano, «e non dimenticate domani di darmene la risposta. —

«I due principi caddero una seconda volta nella medesima dimenticanza, nè il sultano si adontò della loro trascuratezza: per lo contrario, cavate tre pallottole d’oro che teneva in una borsa, e mettendole in seno a Bahman: — Queste palle,» gli disse con un sorriso, «v’impediranno di dimenticarvi per la terza volta