Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/221

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«Un uomo gli venne incontro con in mano un diamante, il cui splendore eguagliava quello dei raggi del sole, ed il cui prezzo doveva superare le rendite dell’Egitto e della Siria.

«Il sensale, sorpreso della bellezza di quel diamante, domandò se fosse da vendere. Gli fu risposto di sì; egli lo prese, e lo portò da vari mercatanti. Tutti furono sorpresi della sua beltà: se gliene offrirono dapprima cinquantamila zecchini; poscia si aumentò fino ai centomila. Il califfo andò dal padrone del diamante, e chiesegli se voleva venderlo per quel prezzo. Colui acconsentì, e disse al sensale di ricevere il denaro. Questi tornò dal mercatante che aveva offerto i centomila zecchini, e lo pregò di contargli la somma, avendolo il padrone del gioiello incaricato di riceverla per lui.

«Il mercante disse non essere cosa regolare, e voler pagare chi vendeva, e non il mediatore. Il califfo andò in cerca del proprietario; ma non avendolo trovato, tornò dal mercante, e gli disse d’esser egli stesso il possessore. L’altro stava per contargli il denaro, ma avendo guardato di nuovo il diamante, si accorse ch’era falso. — Come, briccone,» diss’egli, «sei tanto ardito da volermi ingannare in pien mercato! Non sai che i truffatori qui sono puniti di morte? —

«Gli altri mercatanti accorsero udendo quelle parole, si precipitarono sul califfo, e legatolo, lo condussero dal re d’Oman. Questo principe, udita l’accusa e la deposizione dei testimoni, condannò tosto il reo alla forca. Gli fu messa dapprima al collo una catena, gli si scoperse il capo, e lo si fece passeggiare per la città, accompagnato da un ufficiale che gridava: «Questo trattamento non è che il principio del castigo di chi inganna il popolo ed i mercatanti.