Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/252

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avanzatosi verso i cavalieri, domandò loro a chi appartenesse quella lettiga, e chi vi fosse rinchiuso. Lo schiavo negro rispose, senza sapere che parlava al re in persona, ch’essa apparteneva ad Isfehend, uno de’ dieci visiri, e che racchiudeva sua figlia, promessa in matrimonio al re Zadschah.

«La principessa, udendo quel discorso, fu curiosa di vedere chi fosse la persona che parlava allo schiavo, ed aperse la cortina della lettiga. Azadbakht la vide, fu rapito della sua bellezza e se ne invaghi. Fe’ voltare la mula, e disse allo schiavo negro: — Ritorna indietro. Io sono il re Azadbakht, e voglio diventare lo sposo di questa bella giovane. Isfehend, suo padre, è uno de’ miei visiri, e non può mancar di essere lusingato dell’onore che gli faccio, dando la mia mano a sua figlia.

«— Sire,» rispose lo schiavo sorpreso, «permettete ch’io informi il mio padrone del vostro disegno, affinchè si affretti a dare il proprio assenso ad una parentela tanto gloriosa. Sarebbe una cosa indegna di voi, ed ingiuriosa per lui, se isposaste sua figlia a di lui insaputa. — Io, non ho,» disse il re, «il tempo di attendere che tu vada da Isfehend, e ne ritorni. Non v’ha qui nulla d’ingiurioso pel mio visir, dacchè son io che sposo sua figlia.

«— Sire,» soggiunse lo schiavo, «permettete di far osservare a vostra maestà che le cose fatte con tanta precipitazione non sono di lunga durata, o non procurano un piacere puro e solido. Giacchè nulla può opporsi alle vostre brame, non esponetevi alle disgustose conseguenze che talvolta arreca la troppa fretta, e non affliggete il mio signore, colmandolo d’onore; io conosco la di lui tenerezza per sua figlia, e son certo che sarà vivamente afflitto di non avervela data egli stesso.

«— Isfehend,» interruppe il re, «è mio mamelucco,