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Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/325

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«Ilan-Schah mandò a chiamar tosto i tre visiri, e rimproveratili della loro scelleraggine, li fece decapitare in sua presenza. Recossi poscia dalla consorte, e confessandole d’essere stato dapprima ingannato, raccontolle la maniera colla quale aveva riconosciuta la di lei innocenza e quella di Abutemam. La regina allora dimostrò il proprio dolore per la misera fine del primo visir. I due sposi piansero assieme la morte dell’uomo ch’era stato causa della loro unione; diedero ordine che si traesse il cadavere dal pozzo ove era stato gettato, e celebratine pubblicamente i funerali, gli fecero erigere una tomba in mezzo al palazzo, sulla quale andavano sovente a sparger lagrime.

«Così fu, o re,» continuò il giovane, «che Abutemam rimase vittima dell’invidia, e che i suoi nemici pagarono poscia il fio del loro delitto. Io spero che Dio mi farà parimenti trionfare degl’invidiosi suscitati contro di me dal favore onde mi onoraste, e che vi farà conoscere la mia innocenza. Io non temo di perdere la vita, bensì che un inutile pentimento non invada il cuore del re e lo tormenti. L’accanimento dei vostri visiri contro di me ed il desiderio da loro mostrato di versare essi medesimi il sangue mio, svelano abbastanza la passione che li anima; la mia sicurezza e tranquillità, al contrario, vi attestano la mia innocenza; so io fossi reo, i rimorsi della mia coscienza m’incatenerebbero la lingua e mi turberebbero lo spirito.»